A volte basta un aggettivo. Messo a qualificare un sostantivo. Ma in grado di provocare reazioni inattese, evocare fantasmi, rivoluzioni, colpi di stato. Specie nelle stanze del potere, che un tempo tutto controllava, perfino le divise e il repertorio di una banda musicale. Il 3 ottobre 1920 è eletto sindaco di Montepagano Giovanni Pierantozzi, a capo di una lista socialista, che si impone nettamente su quella liberale. Nel censimento del 1921 la popolazione dell’intero comune supera novemila abitanti, divisi fra Rosburgo (3.522), Montepagano (3.031) e Cologna (2.457).

Rosburgo già supera la “metropoli”. Pierantozzi è un imprenditore edile, attento alle esigenze di tutto il territorio. Sistema subito l’inospitale piazza centrale della marina, intitolata a Umberto I, trasformandola in un ridente giardino, cui dà il nome di “Piazza della Libertà”. Ci tiene a quella parola. Chiama Libero anche il figlio, nato nel 1922, detto “Rorò”, giornalista e scrittore, che quarant’anni dopo, sulle colonne del periodico “Rinascita”, segue i lavori del Concilio Vaticano II e pubblica il libro “I cattolici nella storia d’Italia”, uno dei rari spiragli aperti fra Chiesa e marxismo.
Rosburgo cresce a vista d’occhio, mentre Montepagano deperisce. La guerra ha lasciato centosessantasei caduti. I reduci non si accontentano di promesse, vogliono fatti e strepitano. L’economia è in crisi e tronca ogni iniziativa. Dal 1861 è aperto in paese un Monte pecuniario, per migliorare le condizioni di vita degli agricoltori, con la concessione di prestiti in denaro. Il capitale viene dalla vendita di grano dei soppressi Monti frumentari borbonici. Ma i fondi non sono accessibili a tutti, nemmeno al Comune. Gli amministratori devono offrire garanzie personali. Nei magazzini mancano generi di prima necessità. Giovanni Pierantozzi chiede aiuto alla popolazione.
Il 4 novembre 1920 il Consiglio apre “una sottoscrizione per l’emissione di n. 500 obbligazioni di lire 100 ciascuna per un prestito proletario di lire 50.000, rimborsabili per intero e non più tardi del 31 dicembre 1924, all’interesse annuo del 6%, pagabili per semestre anticipato dal 1 gennaio e dal 1 luglio di ogni anno”. Stupisce il termine “proletario”. Anche il mite Giovanni Pascoli lo aveva adoperato in un discorso del 1911, a favore dello sciagurato intervento militare italiano in Libia. Ma alla Giunta Provinciale Amministrativa di Teramo non importa dei poeti. La delibera del Consiglio è rispedita al mittente, con richiesta di chiarimenti, soprattutto per l’aggettivo. Prestito può andare, ma “proletario” proprio no. Pierantozzi replica in una lettera del 25 gennaio 1921, che è di scusa e insieme di accusa. “L’idea di un prestito proletario non è un iniziale atto di sfida alle autorità. Le sue origini bisogna riportarle alla logica delle cose più che alle proletarie… capacità intellettuali dei componenti l’Amministrazione.
Gli umili lavoratori, consci del pericolo che sovrastava, intendevano riaffermare l’incondizionata fiducia verso il Comune e offrire spontaneamente i mezzi finanziari anche con quote individuali minime per provvedere senza esitazione all’approvvigionamento del paese”. Due mesi dopo la Giunta Provinciale si degna di rispondere. La sottoscrizione può approvarsi, a condizione che il prestito da “proletario” diventi “cittadino”. Il Consiglio comunale non accetta e la cosa finisce lì.
Almeno apparentemente. Pochi mesi dopo il Prefetto ordina un’indagine in merito a irregolarità riguardanti contabilità generale, lavori pubblici, applicazione dei tributi. Sembra un pretesto per estromettere i socialisti dalla guida del Comune. Di nuovo il sindaco si arma di penna e carta e, in trentacinque pagine manoscritte, difende l’operato dell’Amministrazione, che “fiera delle sue origini, aveva cercato di infrangere per sempre sistemi e metodi che si vantavano imperituri e leggi che si credevano immutabili”. La situazione precipita. Il Consiglio è sciolto il 7 dicembre 1922. Alla guida del Comune si succedono cinque commissari. Il 22 dicembre 1924 è eletto l’ultimo sindaco di Montepagano, il pittore Raffaello Celommi , che resta in carica lo spazio di un mattino. Il 30 agosto 1925 Vittorio Emanuele III scioglie definitivamente il consesso civico. Firma il decreto sul mare. A bordo della nave “Savoia”.