“Vogliamo un lauto pasto, se no …niente musica”.E i bandisti di Montepagano incrociarono le braccia.
di Mario Giunco
Lente e lunghe le sere nell’Ottocento. Montepagano viveva di ciò che produceva, era autosufficiente, come nel Medioevo. Il clero possedeva i suoi beni e li sapeva gestire con oculatezza, come sarebbe accaduto con la lottizzazione della marina. La tradizione musicale – risaliva al Cinquecento, con la presenza stabile di un insegnante – non era spenta, affidata ad artigiani o dilettanti, la più parte analfabeti, che, al termine della giornata o durante le pause del lavoro, coglievano un momento di “innocua” ricreazione.
Ma una cosa è suonare a orecchio, da soli, altra è stare insieme, in concerto. Con le note circolavano anche le idee. L’occhiuto potere ben lo sapeva. Per cadere in disgrazia bastava accennare all’aria “Quanto valgan gl’Italiani / al cimento (cioè ‘in battaglia’) si vedrà” dell’”Italiana in Algeri” di Rossini o alla sinfonia del “Guglielmo Tell” dello stesso autore. Per non parlare del “Nabucco”, de “I Lombardi alla prima crociata”, de “La battaglia di Legnano” o de “I Vespri siciliani” di Verdi. In Atri la prima banda – una delle più antiche d’Abruzzo – fu formata nel 1809.
Quella di Montepagano nasce nel 1838 (o nel 1832). Era attiva nel 1842 e condivideva la vita “agra” di altre, quanto a risorse e avventure. Prima dell’Unità i mecenati locali mantenevano i complessi e ci tenevano a fare bella figura. Poi subentrarono i Comuni e cominciarono i guai. La politica si faceva anche con i trattenimenti musicali. I bandisti si trovavano fra l’incudine e il martello. Bisognava prestare attenzione alle divise, che, pur ispirandosi a quelle militari, se ne dovevano differenziare nettamente nei colori, negli ornamenti e nei berretti. Era poi necessaria la registrazione – una specie di anagrafe – presso l’Intendenza (Prefettura).
Nelle feste sorgevano dispute, che finivano in risse, sulle date di nascita. La banda più antica suonava per prima. Nel 1842 l’Intendenza di Teramo pubblicò l’elenco ufficiale dei complessi operanti nella provincia, con gli estremi anagrafici. Le zuffe non mancavano per altri motivi. Erano frequenti consensi e dissensi a pagamento, come in un qualsiasi teatro d’opera. A Giulianova, nel 1872, nel corso di una festa religiosa, di fronte ad artate contestazioni, i musici paganesi decisero di farsi giustizia da soli, dopo aver messo in salvo gli strumenti.
La testa si può risanare, se si rompe – diceva il saggio trombonista in “Ta-pù” di Modesto Della Porta – ma lo strumento, no. Scesero dal palco e le diedero di santa ragione ai fischiatori. I paganesi ritornarono vincitori, ma il Comune ingrato soppresse il contributo economico, a causa del loro “comportamento poco civile”. Qualche tempo dopo ci ripensò e fece pubblica ammenda.
La vita dei bandisti non era agevole, anche per altri motivi, rispetto a quella di un direttore o di un solista. I paesi talvolta dovevano essere raggiunti a piedi e i guadagni erano affidati ai musicanti più giovani, portati per fare numero – le “papere mute” – messi al centro del gruppo, per essere meglio difesi, in caso di assalti di briganti. Gli impresari, gli agenti, gli organizzatori, i “pigliatori di feste” non brillavano per onestà e pretendevano tangenti.
Richiesta in molte piazze, la banda paganese ebbe vita onorevolissima nell’Ottocento, “macchiata” solo dal rifiuto – sempre per una questione di soldi: i musicanti non si accontentavano del solito panino imbottito e di un calice di vino – di accompagnare il santo patrono in processione. Il Comune assimilò i bandisti ai soldati e in una delibera – conservata, insieme ad altri documenti, nel Museo della cultura materiale di Montepagano – li considerò rei di “insubordinazione”, escludendoli da ogni finanziamento.
Fra i direttori di quel periodo si ricordano Filiberto Melchiorre, originario di Bomba e, nel ventennio precedente la Prima guerra mondiale, Luca Battisti, validissimo insegnante, che preparò molti giovani, distintisi in vari complessi, anche fuori dalla regione. I successi continuano con il maestro Francesco Perazzitti, di Silvi, direttore nel 1927 e nel biennio 1933-34. Il 20 maggio 1924 la banda è al Sacrario di Bocca di Valle (Guardiagrele) con la tomba dell’eroe di guerra Andrea Bafile: visita considerata un dovere morale e un momento di partecipazione ai valori della Nazione, dopo i disastri della guerra. Con il trasferimento della sede municipale a Roseto (1927) il complesso si fa “sentire” un po’ di meno. Non sono mancati screzi con il Comune. Tutto secondo tradizione.
Da sempre il suno di uno strumento musicale richiama l’attenzione di chi si trova, appunto a portata di orecchio. Se poi si tratta di numerosi strumenti, subito si creano assembramenti di persone in trepida attesa, poi comincia l’esecuzione di brani a richiesta, se non le dediche.