“Papà, voglio fare il musicista”. La storia di Gino Mazzocchitti.

La storia di un “giovanotto” che ha appena compiuto 90 anni. Talento musicale fuori dal comune, una memoria eccezionale, un carattere gioviale, ottima favella e senso dell’ironia.E poi …amico delle sette note

di Concezio Leonzi

A dodici anni decise che non sarebbe andato più a scuola, Luigi Mazzocchitti, per tutti Gino. Frequentava la seconda classe della scuola di Avviamento Professionale di Atri (poi abolita in Italia con l’istituzione della Scuola Media Unificata) quando il padre, Antonio, bravo calzolaio, si accorse che marinava la scuola. Fu la prof.ssa di Matematica, la sig.na Mercuri, a lamentarsi delle continue assenze. Gino sognava la vita di musicista e più precisamente quella di clarinettista. Nemmeno i ceffoni del padre riuscirono a dissuaderlo da quella che sembrava un’impresa impossibile con lo spettro di una vita grama e di stenti. Erano anni duri. 

Gino nacque il 24 gennaio del 1933 nel quartiere popolare di Capo d’Atri. Cominciò a prendere lezioni di musica, prima dal clarinettista marchigiano Italiano Tuzi, proprietario ad Atri di un elegante Caffè in Corso Elio Adriano, che nelle ore libere insegnava ai giovani atriani i rudimenti della musica e l’uso di strumenti per banda.

A dodici anni decise che non sarebbe andato più a scuola, Luigi Mazzocchitti, per tutti Gino. Frequentava la seconda classe della scuola di Avviamento Professionale di Atri (poi abolita in Italia con l’istituzione della Scuola Media Unificata) quando il padre, Antonio, bravo calzolaio, si accorse che marinava la scuola. Fu la prof.ssa di Matematica, la sig.na Mercuri, a lamentarsi delle continue assenze. Gino sognava la vita di musicista e più precisamente quella di clarinettista. Nemmeno i ceffoni del padre riuscirono a dissuaderlo da quella che sembrava un’impresa impossibile con lo spettro di una vita grama e di stenti. Erano anni duri. 

Gino nacque il 24 gennaio del 1933 nel quartiere popolare di Capo d’Atri. Cominciò a prendere lezioni di musica, prima dal clarinettista marchigiano Italiano Tuzi, proprietario ad Atri di un elegante Caffè in Corso Elio Adriano, che nelle ore libere insegnava ai giovani atriani i rudimenti della musica e l’uso di strumenti per banda. Più tardi seppe che a Silvi c’era un altro bravo clarinettista, Francesco Perazzitti, nipote dell’omonimo zio, compositore di marce per banda e buon direttore. Per le lezioni da Perazzitti raggiungeva Silvi Paese a piedi, dieci chilometri, sia che nevicasse, sia sotto la canicola estiva. Quando si dice la passione! Il buon papà, rassegnato alle scelte di Gino, decise finalmente di acquistargli un clarinetto, (appartenuto a Pietro Malandra di Casalincontrada (Ch) che in quegli anni ricopriva il ruolo di primo clarinetto solista della Banda Municipale di Venezia) per la somma equivalente a ben cinque maiali. L’economia famigliare degli artigiani, infatti, si basava sull’estaglio: una sorta di contratto che gli artigiani stringevano con le famiglie contadine, che a termine del raccolto pagavano in natura. Nel 1948, a soli 15 anni, Gino entra nella gloriosa Banda di Atri, diretta da Gino De Petris. Poi in quella di Silvi diretta dal Maestro Pietro Marincola. Allora le bande erano numerose e composte prevalentemente da artigiani che si dedicavano d’estate alla musica “da giro”; avevano un’ossatura di cinque/sei buoni solisti professionisti su cui poggiava una struttura musicale di bravi musicanti di paese. 

Arrivò presto anche il servizio militare, a Pesaro il CAR, poi a Latina, durante il quale tenta il concorso per entrare a far parte della Banda dell’Aeronautica Militare, che supera a pieni voti. Terminata la leva, Gino rimarrà quindi a Roma, sede di tutta la sua carriera musicale. 

Il Papà Antonio, appresa la notizia del concorso felicemente superato, tirò un sospiro di sollievo: Gino aveva vinto la partita. Non c’erano più dubbi: era davvero la musica l’ampio desiderio della sua vita! Finalmente poteva contare su uno stipendio sicuro con il quale affrontare la vita. Con i soldi del primo stipendio Gino ripagò il padre dei tanti sacrifici sostenuti regalandogli una motocicletta, un gesto bellissimo che fece notizia nella Atri di quegli anni. 

Il clarinetto “piccolo Mi bemolle” fu quindi il compagno fedele della sua carriera luminosa che dalla Banda lo vide innumerevoli volte richiesto per opere di particolare impegno esecutivo nell’Orchestra di Santa Cecilia e in quella della RAI di Roma. La scintilla, come a volte capita nel mondo dell’arte con la “A” maiuscola, fu una casualità. Per la stagione concertistica 1969, a Santa Cecilia il Maestro Fernando Previtali cercava un clarinettista che potesse affrontasse con sicurezza i difficilissimi soli affidati al clarinetto nel poema sinfonico di Richard Strauss “I Till Eulenspiegel”. Il primo clarinetto della Banda dei Carabinieri, che godeva a Roma di grande stima, declinò l’incarico con la scusa di essersi rotto tre costole a seguito di una caduta in casa. Qualcuno suggerì allora il giovane “piccolo Mi bemolle” abruzzese, fresco di nomina nella Banda dell’Aeronautica. Inutile dire che fu un successo, la scintilla di una carriera che da quel momento non ebbe soste. Incisioni discografiche e tournèe in tutto il mondo, sotto le più presigiose bacchette: Previtali, Prêtre, Bernestein, Kempe, Sawallisch, Abbado, Muti, Gui, Sinopoli, Matačić, Rostropovich, solo per citare i più famosi. 

Gino, che come il fratello Giorgio, ha un’acuta capacità manuale e una particolare attitudine per le cose meccaniche, unisce (Gino è attivissimo ancora oggi!) all’arte musicale quella forse meno nobile, ma ugualmente importante, della riparazione degli strumenti musicali e dell’invenzione (la parola non è esagerata) di diteggiature alternative per facilitare i passi particolarmente difficili per clarinetto. Di questi “segreti” (tali possono essere considerati), hanno fatto tesoro i più grandi clarinettisti del mondo, prime parti di orchestre sinfoniche importanti. 

In questi giorni, molti di quei clarinettisti gli hanno telefonato da tutto il mondo per il suo 90° compleanno, primi fra tutti Corrado Giuffredi e Alessandro Carbonare. Anche Renzo Arbore, di cui conosciamo la passione per il clarinetto, è un caro amico di Gino. 

Nel 2017 la Città di Atri gli ha conferito il Premio alla Carriera nel corso di un memorabile concerto di cui fu proprio lui interprete solista, nell’ottocentesco Teatro Comunale di Atri, presenti la moglie, Signora Franca, e i figli Antonio e Anna.

È inutile dire che Gino ha avuto dalla natura un talento musicale fuori dal comune, una memoria eccezionale, un carattere gioviale, ottima favella, senso dell’ironia e una grande modestia, qualità che lo hanno sostenuto nella sua vita, per tanti aspetti unica e meravigliosa. 

Più tardi seppe che a Silvi c’era un altro bravo clarinettista, Francesco Perazzitti, nipote dell’omonimo zio, compositore di marce per banda e buon direttore. Per le lezioni da Perazzitti raggiungeva Silvi Paese a piedi, dieci chilometri, sia che nevicasse, sia sotto la canicola estiva. Quando si dice la passione! Il buon papà, rassegnato alle scelte di Gino, decise finalmente di acquistargli un clarinetto, (appartenuto a Pietro Malandra di Casalincontrada (Ch) che in quegli anni ricopriva il ruolo di primo clarinetto solista della Banda Municipale di Venezia) per la somma equivalente a ben cinque maiali. L’economia famigliare degli artigiani, infatti, si basava sull’estaglio: una sorta di contratto che gli artigiani stringevano con le famiglie contadine, che a termine del raccolto pagavano in natura. Nel 1948, a soli 15 anni, Gino entra nella gloriosa Banda di Atri, diretta da Gino De Petris. Poi in quella di Silvi diretta dal Maestro Pietro Marincola. Allora le bande erano numerose e composte prevalentemente da artigiani che si dedicavano d’estate alla musica “da giro”; avevano un’ossatura di cinque/sei buoni solisti professionisti su cui poggiava una struttura musicale di bravi musicanti di paese. 

Arrivò presto anche il servizio militare, a Pesaro il CAR, poi a Latina, durante il quale tenta il concorso per entrare a far parte della Banda dell’Aeronautica Militare, che supera a pieni voti. Terminata la leva, Gino rimarrà quindi a Roma, sede di tutta la sua carriera musicale. 

Il Papà Antonio, appresa la notizia del concorso felicemente superato, tirò un sospiro di sollievo: Gino aveva vinto la partita. Non c’erano più dubbi: era davvero la musica l’ampio desiderio della sua vita! Finalmente poteva contare su uno stipendio sicuro con il quale affrontare la vita. Con i soldi del primo stipendio Gino ripagò il padre dei tanti sacrifici sostenuti regalandogli una motocicletta, un gesto bellissimo che fece notizia nella Atri di quegli anni. 

Il clarinetto “piccolo Mi bemolle” fu quindi il compagno fedele della sua carriera luminosa che dalla Banda lo vide innumerevoli volte richiesto per opere di particolare impegno esecutivo nell’Orchestra di Santa Cecilia e in quella della RAI di Roma. La scintilla, come a volte capita nel mondo dell’arte con la “A” maiuscola, fu una casualità. Per la stagione concertistica 1969, a Santa Cecilia il Maestro Fernando Previtali cercava un clarinettista che potesse affrontasse con sicurezza i difficilissimi soli affidati al clarinetto nel poema sinfonico di Richard Strauss “I Till Eulenspiegel”. Il primo clarinetto della Banda dei Carabinieri, che godeva a Roma di grande stima, declinò l’incarico con la scusa di essersi rotto tre costole a seguito di una caduta in casa. Qualcuno suggerì allora il giovane “piccolo Mi bemolle” abruzzese, fresco di nomina nella Banda dell’Aeronautica. Inutile dire che fu un successo, la scintilla di una carriera che da quel momento non ebbe soste. Incisioni discografiche e tournèe in tutto il mondo, sotto le più presigiose bacchette: Previtali, Prêtre, Bernestein, Kempe, Sawallisch, Abbado, Muti, Gui, Sinopoli, Matačić, Rostropovich, solo per citare i più famosi. 

Gino, che come il fratello Giorgio, ha un’acuta capacità manuale e una particolare attitudine per le cose meccaniche, unisce (Gino è attivissimo ancora oggi!) all’arte musicale quella forse meno nobile, ma ugualmente importante, della riparazione degli strumenti musicali e dell’invenzione (la parola non è esagerata) di diteggiature alternative per facilitare i passi particolarmente difficili per clarinetto. Di questi “segreti” (tali possono essere considerati), hanno fatto tesoro i più grandi clarinettisti del mondo, prime parti di orchestre sinfoniche importanti. 

In questi giorni, molti di quei clarinettisti gli hanno telefonato da tutto il mondo per il suo 90° compleanno, primi fra tutti Corrado Giuffredi e Alessandro Carbonare. Anche Renzo Arbore, di cui conosciamo la passione per il clarinetto, è un caro amico di Gino. 

Nel 2017 la Città di Atri gli ha conferito il Premio alla Carriera nel corso di un memorabile concerto di cui fu proprio lui interprete solista, nell’ottocentesco Teatro Comunale di Atri, presenti la moglie, Signora Franca, e i figli Antonio e Anna.

È inutile dire che Gino ha avuto dalla natura un talento musicale fuori dal comune, una memoria eccezionale, un carattere gioviale, ottima favella, senso dell’ironia e una grande modestia, qualità che lo hanno sostenuto nella sua vita, per tanti aspetti unica e meravigliosa. 

Lunga vita al caro Gino per i suoi splendidi 90 anni e, come dice sempre lui, auguri di buona salute!

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