di Lucia Guida
I boomer come me frutto del miracolo economico della seconda metà del secolo scorso conoscono a menadito il significato della parola olofrastica NO ricordandone forse soprattutto le implicazioni di carattere negativo in virtù del fatto di essercene sentiti rivolgere parecchi e in maniera scabra, senza troppe riflessioni o giustificazioni a corredo, tanto da dimenticarne la giustezza educativa che in molti di essi era contenuta.
Invece di esorcizzarla con un uso corretto e sistematico abbiamo finito col demonizzarla per poi con ostracismo estremo liberarcene nell’età adulta raggiunte le tre autonomie basilari (autonomia economica, culturale e politica in senso ampio) che rendono libero e indipendente ogni individuo.
Il NO è in gran parte scomparso dal nostro vocabolario d’uso a fondamento della nostra quotidianità più spicciola lasciando spazio al NÌ e al SÌ spesso concessi con generosità. Ma sarà davvero così giusta e doverosa quest’ultima scelta e soprattutto così rispettosa verso noi stessi? Me lo chiedo di continuo soprattutto quando osservo la frequenza con cui veniamo sottoposti a tutte quelle pressioni di tipo personale, professionale, amicale, affettivo, sociale a cui ahimè rispondiamo a malincuore con un SÌ che non rispecchia il nostro sentire in merito a questioni e/o richieste che al contrario meriterebbero un bel NO pronunciato in tono netto, definito. Consensi strappati a forza che tanto nell’immediato quanto alla lunga non ci fanno stare bene.
Da madre e da educatrice so perfettamente cosa comporti e costi anche dal punto di vista emotivo pronunciare un doveroso NO a chi vorrebbe, in virtù dell’affetto e della stima che ripone in noi, una risposta diversa.
Probabilmente ci consolerebbe maggiormente pensare che un NO assertivo, circostanziato non priva mai nessuno della possibilità di aprirsi in seguito a SÌ pronunciati con maggior consapevolezza e meritocrazia.
Restano comunque a nostra disposizione quei NO che dovremmo imparare a dire in forma permanente soprattutto quando siamo certi che non esistano scuciture né scorciatoie per repliche di tipo diverso. NO ad amicizie e amori tossici, disfunzionali, squilibrati e pendenti in maniera preponderante verso una sola delle parti in causa.
NO all’accettazione passiva di tutto ciò che ci circonda in nome del cosiddetto quieto vivere: quel SÌ concesso per assicurarci una briciola di tranquillità temporanea, a lungo andare sarà l’inizio della nostra fine in termini di dignità e di sanità mentale. NO come diritto sacrosanto di ogni donna nei confronti di una persona, un uomo, un partner, un accompagnatore occasionale, un cliente, quando lei decide che quell’incontro non può avere nessun seguito perché è sacrosanto poter cambiare idea anche all’ultimo minuto.
Sottostare al volere altrui in quel caso significherebbe trasformarci in un oggetto in balia di chi pensa di poterci vedere in funzione dell’immagine che di noi si è fatta (e che non ci rispecchia più o non ci ha mai rispecchiato) mettendo da parte la preziosità che ci rende unici e irripetibili: il libero arbitrio, la capacità di autodeterminazione che sono la sostanza dei nostri giorni.
La nostra generazione, che pure di NO ne ha subiti tanti è forse la più propensa a non accettarli e a pronunciarli raramente, forse a mo’ di compensazione delle imposizioni a suo tempo ricevute. Pur non essendo stati allevati secondo i dettami del Dr Spock ed essendo, quindi, stati esposti con maggior frequenza alla mortificazione di un rifiuto, giusto o sbagliato che esso fosse, siamo oggi accomunati a chi ci ha seguiti cronologicamente da un’indulgenza eccessiva.
Trascuriamo di ricordare che essere accomodanti, esserlo troppo, rende tutti noi schiavi di chi abbiamo di fronte (o tiranni del prossimo se al contrario scegliamo di ricoprire un ruolo dominante). Nel primo caso, accettare di concretizzare in un agire che non ci rappresenta un SÌ che ci è stato estorto è sempre una grossa criticità oltre a contribuire ad accrescere la confusione (o forse dovremmo chiamarla indefinitezza?) in cui saremo costretti a muoverci nel limbo infinito in cui è vero tutto e il contrario di tutto, in una sorta di relativismo esistenziale che spinge a giustificare anche l’ingiustificabile per non perdere la faccia, dando per buone anche quelle circostanze in cui sarebbe utile e opportuno, sacrosanto (certamente con un po’ di fatica in più, di comodità in meno e, forse, una minore considerazione da parte del gruppo dei pari) dire di NO.
Con dignità e, magari, con un sorriso fatto di reale empatia. Proviamoci. Facciamolo subito, non aspettiamo altro tempo perché ogni attimo di vita che ci lasciamo alle spalle, e che contribuisce a renderci ciò che siamo e saremo, non tornerà più.