IL DONO
Rudimentali lame svelano costole
e vertebre prominenti di bestie recalcitranti.
L’ultimo belato pare un grazie cantato all’umano,
che non prende senza dare.
Guarda settembre come ti dona a piene mani.
Quando la lana era un capitale
A settembre, quando le giornate cominciavano ad accorciarsi, ma il caldo era ancora scoppiettante, di buon’ora, la famiglia quasi al completo, avviava il gregge al fiume. Compito del giorno: fare il bagno alle pecore. Per noi bambini, che pure eravamo chiamati a svolgere lavori di cura al gregge, era una giornata di festa.
Due braccia forti, in genere un uomo, conduceva la malcapitata pecora in una piccola insenatura a forma di vasca, a regola d’arte costruita con pietre di fiume e, sotto il flusso dell’acqua corrente, altre due mani, in genere una donna, lavava ben bene lo stupito animale. Si trattava di un evento importante, una vera e propria ricorrenza, unica nell’arco dell’anno, necessario per ripulire il mantello di lana da ogni tipo di sporco, prima della tosatura, attività che si perdeva in epoche lontane, quando la lana era un capitale e ancora a metà novecento lo si continuava a fare con una sorta di attaccamento ostinato alle tradizioni, al riconoscimento di dignità, di cura e rispetto per animali che vivevano a stretto contatto con gli uomini, con i quali spartivano fatiche, gioie e dolori. E con tutto questo carico di sentimenti le mani esperte iniziavano dalla testa il lavaggio, deciso ma garbato e poi giù giù, passando per la pancia, fino alla coda tagliata. Finita la prima fase, si passava al risciacquo e poi, sulle zampe ancora molli per lo sbigottimento, il quadrupede veniva accompagnato sul greto del fiume e liberato. Traballante, scrollandosi tutta l’acqua di dosso, in una nuvola di spruzzi e in una cantilena di belati, la pecora sbiancata raggiungeva le sue sorelle. Noi bambini assistevamo eccitati all’evento, scovavamo, a monte una vasca e lì inventavamo giochi e spruzzi, scordandoci ben presto il nostro compito. Intanto, come in una catena di montaggio all’aperto, un’altra pecora veniva a sorpresa rapita e trascinata a forza nella vasca, per l’identica procedura. Man mano che il sole saliva sull’orizzonte, aumentava il numero delle pecore dal vello candido. Da ultimo, si procedeva con il montone, unico maschio del gregge, di corporatura più grossa e robusta, quasi sempre munito di corna ritorte intorno alle orecchie a formare un riccio, vere e proprie armi da combattimento. Mentre le pecore, ora tutte con il manto bianco, ancora alquanto smarrite, attendevano al sole, strappando ciuffi di erba controvoglia, lanciavano sguardi mesti al belante re del gregge, impossibilitato per una volta, a dominare la situazione a suon di testate.
Il sole, nel frattempo, compiva il suo ultimo arco e al tramonto il lavoro era concluso. Stanchi i quadrupedi e stanchi anche i bipedi; questi ultimi, però, contrariamente ai primi, sapevano di aver assolto un compito impegnativo, pertanto si avviavano soddisfatti; anche noi bambini eravamo stanchi, i nostri passi non erano più danzati, seguivamo il gregge che ad andatura lenta tornava all’ovile e l’indomani sarebbe stato il giorno della tosatura, ma questa è un’altra storia.
Mai come oggi dovremmo riscoprire il rapporto uomo-animale. Mai come oggi, l’uomo è animale e l’animale uomo.
Maria conosce l’antico amore e l’antica dipendenza. Basta saper ascoltare quanto ci racconta con la sapienza che viene dall’esperienza