Pensieri sulle mulattiere
A volte ti rivedo stanco,
gli occhi semichiusi, in piedi un po’ ti riposi.
Aspetti il buio per piegare le tue zampe
e sdraiarti sul duro suolo;
solo paglia sotto la tua pancia,
paglia anche nella tua greppia,
la tua magra colazione prima di iniziare il lavoro;
compagno di lavoro del bipede nei giorni feriali,
lavoratore quadrupede senza salario.
Basto sulla schiena fino a sera,
torni a casa senza mai una scusa.
Sei preceduto da una cattiva fama,
ma solo chi non ti ha mai carezzato il muso
può credere a simili calunnie.
L’affidabilità dell’asino
Ricordo la mia asina, Gina si chiamava, rispondeva al suo nome sempre girandosi, qualunque umano la chiamasse. Sono arrivata che lei già viveva con noi e con meraviglia ho scoperto che rispondeva anche al mio richiamo. Volgeva collo e testa verso la mia esile voce, mi guardava tenera e dolce con gli occhioni grandi e neri, muovendo ritmicamente le sue lunghe orecchie e da me, che non si aspettava nessun comando, si lasciava lisciare il muso nero che sfumava nel bianco latte, morbido come un vellutino e forse chissà, con me trascorreva i minuti che le regalavo, riposandosi dal duro lavoro a cui era da sempre chiamata e forse amava le mie dita sottili che le carezzavano le orecchie, per me fonte di stupore, soprattutto perché capaci di muoversi indipendentemente l’una dall’altra e si lasciava contornare i suoi occhi così profondi, che a ripensarci ora, sembravano bordati di matita nera.
Crescendo, ricordo, stabilivo rapporti sempre più stretti con lei. Amavo portarle cibarie nella sua ora di siesta; per lei sceglievo il fieno più prelibato, quello con ancora foglie e fiori intatti, come nel più accurato erbario; lei mangiando si girava verso di me, piccola al suo fianco e mi mostrava il suo soddisfatto masticare. Quando invece gli adulti mi dicevano che potevo portarle la biada, che era una propria leccornia, già a distanza avvertiva il suono dei chicchi sul fondo del contenitore di lamiera, allora tuffava la testa dentro il secchio in zinco e la tirava fuori solo a pietanza finita, elargendomi un generoso sbuffo finale.
Alcune sere estive mi veniva anche affidato il compito di portarla all’abbeveratoio; non era una vera fontana, piuttosto una generosa sorgente che si apriva nella crepa di una roccia in tufo, raccogliendo acqua cristallina in un laghetto. Con un secchio, avevo appreso la manovra e piano raccoglievo acqua e la portavo in superficie. A lei piaceva bere l’acqua, limpida e fresca, della sorgente: l’assaporava a piccoli sorsi, un po’ si riposava rialzando il muso, mi guardava e poi riprendeva. Non sapevo mai quando avesse finito veramente, e un pensiero mi turbava, che io ero libera di bere a qualsiasi ora, mentre lei avrebbe dovuto attendere la mattina successiva, così, nel dubbio m’intrattenevo ancora un po’. Terminate le esitazioni da ambo le parti, insieme tornavamo a casa belli e soddisfatti, io avanti e lei dietro. Nella mia mano la sua cavezza, in realtà la mia guida era solo simbolica, lei sapeva dove andare e non la dovevo tirare, era piuttosto un tenerci per mano. A volte succedeva che un adulto mi chiedesse conto del tempo impiegato, non ho mai dato spiegazioni, né rivelata mai la cura impiegata nel farle sorseggiare fino all’ultimo goccio. Era il nostro segreto.
Lei mi ha insegnato la lentezza
Gina, mi ha anche, nelle mattinate meteo più inquietanti, accompagnata a scuola. Ricordo che mia mamma mi sistemava sulla sua groppa, così io schivavo il fango, mentre erano le sue zampe, lunghe e sottili, che sugli zoccoli ferrati sfidavano la strada sterrata e motosa, mentre io mi dondolavo sicura al passo suo lento e rassicurante.
Lei mi ha insegnato la tenerezza.
Molto tenero e toccare questo connubio che mi ricorda molto quando poco più che bambino facevo le stesse cose con le mucche portandogli di nascosto il pane bagnato con un filo di zucchero.
I ricordi di bambina sono sempre i più dolci e riportano sentimenti sinceri che non sempre da adulti proviamo.
Maria vede una mulattiera, un piccolo sentiero, questo basta a far tornare Gina viva e presente vicino a lei. Quello di Maria è un comune sentire con la sua amica a quattro zampe, una commovente corrispondenza di affetti che trascende i sentimenti solo umani .