La natura protetta oggi

di Franco Tassi

Natura protetta oggi (presente)
A oltre trent’anni dalla sospirata approvazione della legge quadro sulle aree pro- tette (Legge n. 394 del 6 Dicembre 1991), qual è in Italia la situazione dei parchi nazionali? Sono stati pienamente realizzati, hanno davvero raggiunto gli scopi per cui erano stati ideati? Si puòt e n t a r e un primo ,Sintetico bilancio della loro evoluzione?
Se poniamo questi interrogativi, vuol dire che non tutto sembra andare per il meglio. Ma va anzitutto riconosciuto che alcune cri
ticità erano già insite nella stessa legge, frutto di forzature e compromessi: pur essendo fondamentale e innovativa, nella fase finale non era riuscita a superare alcune contraddi-
zioni intrinseche, che poi avrebbero pesato in modo rilevante sul suo destino.
Limitiamoci a segnalare, in sintesi, al- cune delle contraddizioni più evidenti e macroscopiche.
.1 La legge prevede che la gestione di ogni parco sia affidata a un ente autono- mo, per garantire snellezza ed efficacia. Ma li compromesso politico portò a far nominare la sua figura chiave, quella del direttore, in modo tutt’altro che indipen- dente, attraverso cervellotiche procedure, lasciando la scelta finale al ministero vi- gilante. Che così trasformava il suo ruolo
da garante della legittimità a quello di de cisore politico, riducendo l’ente al rango di ufficio passacarte.


LA FIGURA CHIAVE DEL DIRETTORE N O N È SCELTA
IN MODO INDIPENDENTE
E sia lecito domandarsi: quale azienda privata accetterebbe mai la piena respon- sabilità di una complessa gestione, sen- za poter scegliere autonomamente il pro- priomanager o amministratore delegato?
Non va dimenticato, poi, che la struttura organizzativa più snella e moderna, cal

deggiata dal Comitato Parchi, era quella del sistema per agenzie, simile al model- lo dei parchi statunitensi, che riduce al minimo la parte burocratica, puntando all’azione diretta e ai risultati concreti. La scelta politica finale, com’è noto, fu inve- c e b e n diversa. La legge non ha risolto il conflitto di
competenze e interessi tra enti parco e
Corpo Forestale dello Stato, ma si è limi-
tata a elaborare un macchinoso apparato
di sorveglianza, in cui le guardie non di-
pendono gerarchicamente, ma solo fun-
zionalmente, dal direttore del parco. Un metodo che non trova riscontro in alcuno
Stato avanzato, e su cui ogni commento sarebbe superfluo. E che ha poi subito un ulteriore colpo con l’assurda soppressio- ne del CFS, assorbito dai Carabinieri.
La soluzione migliore, vanamente soste- nuta dal Centro Parchi Internazionale, avrebbe evitato questi allucinanti giochi di potere, distinguendo le guardie dei par- chi dalle guardie forestali, come avviene negli Stati Uniti d’America e negli altri Stati moderni, dove tra i due corpi si in- staura spesso una sana emulazione, ma anche feconda collaborazione, e i ranger dei parchi costituiscono una categoria professionale competente, apprezzata e profondamente rispettata


SPESSO I PARCHI NAZIONALI ACCORPANO TERRITORI DIVERSI E MOLTO DISTANTI TRA LORO

Molte altre sarebbero le incongruità da segnalare nella pur valida e preziosa leg- ge quadro del 1991, ma ciò che si poteva facilmente evitare è un sistema di par- chi nazionali che vede accorpati territori diversi e s p e s s o lontani, rendendo pro- blematica la loro gestione. Pensiamo al Pollino, che include iselvaggi Monti di O-r somarso, o al Gran Sasso, al quale sono stati aggregati i Monti della Laga, oppure al Cilento, che assorbe i ben distinti Mon- ti Alburni. La loro conduzione separata avrebbe consentito a queste aree protet- te, che oggi si considerano secondarie ed emarginate, maggiore tutela, più efficace promozione socioeconomica, e migliori rapporti con le comunità locali.
Ma ciò che lascia davvero stupefatti è la ragione, certamente poco nota, che sta alla base di questo singolare sistema
organizzativo: la necessità di ripartire i fondi all’epoca disponibili, assegnando a ogni singolo parco la quota presta- bilita di 3 miliardi di lire l’anno, e non trovando in extremis altra soluzione che l’accorpamento. Per evitare ciò, sareb- bero bastati stanziamenti non partico- larmente ingenti, corrispondenti al costo di qualche chilometro di autostrada. E siamo proprio sicuri che non si potesse- ro trovare?
Ancor più grave è stata la mancata at- tuazione della legge in molti suoi punti fondamentali, ignorati, dimenticati oar-t visati p e rf a r prevalere, come sempre, igl
interessi contingenti della mala política.
Chi conosce e frequenta i nostri parchi non può negare che nel novero dei loro responsabili vi siano persone compe- tenti e appassionate, professionisti onesti e impegnati, tecnici eccellenti e operatori coraggiosi. Ma purtroppo, come spesso avviene, non mancano casi in cui la situazione appare netta-
mente diversa, e la valutazione di tali strutture non può certo dirsi positiva.
Un’analisi per campionamento, condotta
negli scorsi anni dal Centro Parchi Inter-
nazionale, ha posto in luce criticità no- tevoli nonché alcune rilevanti deviazioni
dalle finalità prioritarie e dal ruolo s t e s s o
dei parchi nazionali. Sarà sufficiente for- nire qualche esempio significativo.

Mancanza di una “visione” ampia e di una “missione” chiara, tendenza alla fuga dalle responsabilità, carenza di senso di ap- partenenza e abitudine alla esternalizzazio- ne di gran parte delle attività e dei servizi.

Incapacità di stabilire efficaci sinergie tra pubblico e privato, di coinvolgerele par- ti sociali e isoggetti economici, di compie- re analisi costi-benefici, carenzadi control- li sui risultati delle attività svolte, sfrenata corsa ai fondi pubblici ed europei per i più vari e inusuali progetti, con applicazioni del tutto incongrue, non di rado contrarie alle vere finalità di un’area protetta.
LA PATOLOGIA PIÜ DIFFUSA RIGUARDA L’INVADENZA DELLA POLITICA NEI PROCESSI DECISIONALI

Ma la patologia più tipica e diffusa riguarda l’invadenza della politica nei
processi decisionali, con la pretesa di far prevalere sul bene comune i bassi interessi materiali, individuali, setto- riali, corporativi, padronali e localistici, contrari allo spirito e alle finalità di un p a r c o nazionale.
La spiegazione sta nel fatto che alla conduzione dei parchi vengono spesso prescelte persone del tutto estranee alla cultura ambientalista, ecologista e natu- ralistica, poste ai vertici degli enti come parcheggi temporanei otrampolini di lan- cio per carriere partitiche e politiche.
Di fatto, la vita dei parchi è purtroppo con- dizionata da continue lotte di potere, e le scelte dominanti sono spesso ispirate da finalità del tutto estranee alla conserva- zione della Natura. In molti casi appare evidente che la mala politica ostacola o blocca la rigorosa tutela ecologica, per- ché questa le sottrarrebbe una rilevante
“quota di dominio”
IN MANO A CONGREGHE
AFFARISTICHE, LE BELLEZZE NATURALI SUBISCONO VERGOGNOSI SFREGI
Un recente sondaggio del Centro Parchi Internazionale ha accertato che degli ni-
dividui posti a capo degli enti, la maggior parte ignorava completamente li signifi-
cato di parco nazionale, o ne percepiva un’immagine distorta, non avendo mai visitato un vero parco, né letto un libro o visto documentari sull’argomento.

La conseguenza di tale situazione è che oggi, all’interno dei parchi, e persi- no nel loro cuore, nelle riserve integrali, può avvenire di tutto, senza che gli enti intervengano a bloccare le più nefaste iniziative, ove non ne siano essi stessi i primi promotori ed esecutori. Lasciate all’arbitrio di congreghe affaristiche, an- che le bellezze più straordinarie subiscono vergognosi sfregi, in cui non ci addentrere- mo ora, perché al riguardo occorrerà com- pilare, prima opoi, una ponderosa enciclo- pedia del malaffare. Limitiamoci quindi a elencare gli interventi più frequenti: sagre dei tortelli e mille altre simili, fiere ed even- ti, ponti tibetani, voli dell’angelo, corse di quad e motocross, caccia mascherata da selecontrollo, sfregi al paesaggio e all’e- cosistema con grandi sculture sgraziate travestite da opere d’arte, sedie e pan- che gigantesche, pale eoliche e fotovoltaico a terra, impianti termici e centrali a biomasse, strade, piste, piani selvicoltu- rali, tagli boschivi e via dicendo.Ma il capitolo più delicato di questa corsa alla devastazione degli ecosistemi, cui neppure le aree protette sembrano riuscire a porre riparo, riguarda appunto uno dei beni più preziosi del nostro pa- trimonio naturale: alberi, boschi, foreste e selve, con tutta la vita che ospitano e preservano. Mentre tutti invocano la sal- vaguardia del mantoverde della Terra per garantire l’equilibrio ecologico, idrogeo- logico e climatico, nella pratica avviene esattamente il contrario.
LE FORESTE
CORRONO GRAVI PERICOLI, ASSEDIATE DA TORME DI FAMELICI TAGLIATORI
Intorno ai parchi custodi delle ultime vere selve naturali e seminaturali si sta
infatti appostando una torma di fameli- ci aspiranti tagliatori, sostenuti da isti-
tuzioni incompetenti, tecnici venduti e media prezzolati, pronti a sciorinare a propria discolpa la consueta sequela di banali falsità: dall’ormai noto “Il bosco, se non si taglia, muore!” a “La foresta deve essere curata!”; da “L’Italia ha biso- gno di legname!” a “Miglioreremo la si- tuazione piantando milioni di alberi!”. Né mancano varianti demenziali, come “Ta- gliamo gli alberi, in modo che non bruci- no!”, oppure “Occorre praticare li ‘fuoco prescritto’: incendiando parte del bosco questo sarà in sicurezza!”. Con l’ultimis- sima trovata geniale, che capovolge il si- gnificato di parole, pratiche e interventi: “D’accordo, certamente occorre fare la conservazione: ma non passiva, immo- bile, inerte… La soluzione sta nella con- servazione dinamica!” Vale a dire? Piani selvicolturali, martellate, accette, piste di esbosco, tagli, legname accatastato per produrre pellet o per rifornire centrali a biomasse Insomma, una situazione disperata ma non seria, quasi incredibile. Nutrita di analfabetismo ecologico dilagante, e sostenuta da malafede imperante, che è indice di livelli culturali deprimenti. Qual- cuno dovrebbe spiegare a questi signori che un parco non va trattato come un comodo deposito di tronchi, ma rappre- senta un prezioso frammento di Madre Terra, da custodire con amore per le fu- ture generazioni. Non solo per avere più metri cubi di legname, ma anche perché, elevandosi dal piano materiale, utilita- ristico, produttivistico e commerciale, e spingendo lo sguardo più lontano, si sco- pre uno scenario ben più ampio e ricco Quell’ecosistema forestale, infatti, è la di- mora di una biodiversità straordinaria, la casa dove pulsa la vita di infinite creature grandi e piccole, animali e vegetali. Rap- presenta la riserva di ombra, frescura e umidità, il deposito di anidride carbonica e la fabbrica di ossigeno, la copertura per proteggere e stabilizzare il terreno, e la cura ideale per li benessere e la salute…
Come insegnava Bernardo da Chiaravalle, si impara più dai boschi che dai libri.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *