In questa prima domenica d’agosto, la mia poesia è in lingua abruzzese, sì, perché solo questo idioma mi ha consentito di rammentare fatti accaduti in tempi antecedenti alla mia conoscenza della lingua italiana…
di Maria Matani
Lu pele ruscje, lu pele nere, lu pele bianghe e nere;
di tutte li culure, accome li fiure,
t’ahauarde, arrizze la cote e si ni va pi la strata asò;
a passi lindi, cà la furia n’atè; tu la chjmi,
misci misci, ma qualle sta pinzenne a qualle che d’afà.
La matine s’ahzze tarde, si dà n’abbella stiratelle
e dapù s’arlave la facce belle belle,
‘nghe na sande pacijenzie prime si lecca lu pele
e dapù s’assireche ‘nghe le zambette, come si fusse ddù manucce,
li racchie, la cocce, assopre all’ucchie e quanne la ahatte alleve,
la stessa cuse li fa a li ahattucce e si cacchedune ahè chiù cimutille
e si vò allundanà, l’acchiappe appì lu capiculle
e belle bè l’arporte vicine vicine e je parle.
Oh, quande belle juche la ahatte sa fa! Ti fa ‘ngandà,
li juke di tutte li sorte, s’arvotiche, s’arrambica,
passe d’ahadde, chi ti fa matte paure, ma nin’gasche.
E parle e parle, dice tande cose, che nin zi po’ capì,
però caccose, nù chi l’ahuardame ‘ghe lu core,
li capame e cavvodde la ahatte è meje di nu cristiane.
Ricordi di una bimba che viveva coi gatti
Agosto, tempo sospeso in un casolare di campagna tra adulti impegnati in campi da lavorare e animali da accudire e io bimba che tento di dare un senso al nuovo giorno che si apre alla bellezza degli stessi campi, ai prati su cui inventare giochi solitari, e agli intrecci di amicizie con la famiglia felina domestica. L’aria d’agosto è sempre più calda, forse è l’afa, non lo so. È passato mezzogiorno, in casa si mangia, mi chiamano e nel frattempo che arrivo, i gatti sono già in attesa della dovuta razione. Loro sono felini domestici, a mezzodì mangiano il pranzo assicurato, quello che accompagna la loro incerta caccia mattutina. Per me è diverso, io conosco solo la certezza e non ho problemi.
“Poco, poco, per me poco; non ho fame”. Il caldo non mi promuove l’appetito. Quando torno nella nursey, mamma gatta sta allattando i piccoli – occhi socchiusi, miagolii soffusi – lecca i micetti e loro bevono e bevono.
La pasta che anch’io ho mangiato, per loro è diventata già latte. Mezzo passo ancora per vedere ancora meglio quella bella mangiatoia; gli occhi felini si arrotondano e mi inquadrano, ma senza spavento alcuno e subito tornano a socchiudersi; respiri ritmici, come le canzoni sentite la mattina alla radio, ma la gatta è lì, si aggiusta sulla paglia e con i denti tenta di riprendere il gattino nero che si allontana, allora le presto io la mia mano, afferro il batuffolo tiepido e glielo porto vicino. La gatta mi guarda dritto negli occhi. Resto lì con loro; la vita vuole vita, la vita ci conquista, la vita parla, anche quando miagola.
Gli occhi dei bambini vedono cose che gli adulti non sanno guardare. Quelli di Maria osservavano già con metodo scientifico la realtà che la circondava ed oggi, da adulta ce la dona in versi mai banali