di Maria Matani
La cassetta
La cassetta è ancora qui, è con me,
l’ho salvata dall’incuria e da un tramonto naturale.
Ferma, immobile in un angolo caldo,
lucidata, rifatta, non sembra più lei.
Legno vecchio di quasi un secolo
s’appresta a giocare un secondo tempo
inutile e privo di azioni eroiche.
Legno ingenuo, strappato dal suo mondo muschioso,
buttato nelle acque dell’Adriatico bombardato,
stipato chissà dove con dentro il poco o il niente,
l’assoluto mai saputo
e un sovrappiù di parassiti assortiti.
Accanto a lei, anch’ella immobile, una sua coeva,
storia diversa, stesso cielo.
Le guardo, le interrogo,
le risposte vanno fiutate,
luci sbiadite di stelle in una notte nebbiosa,
fari nel crepuscolo piovigginoso.
(A mio padre e alle reclute del Regio Esercito 1940)
Il ripudio della guerra è un valore
In questo momento storico in cui siamo attorniati dalle brutture, dalle distruzioni fisiche e morali di una guerra insediatasi, come un virus malefico, nel cuore della nostra bella Europa, ancor più dobbiamo prendere atto che il male si può curare attraverso il bello e l’arte. Come affermava Dante, se si vuole ricondurre l’Uomo “a le secrete cose” della natura e dell’esistenza, bisogna percorrere la via della poesia e promuovere i suoi messaggi.
Quando ho scritto “La Cassetta” e specifico che, cassetta, in questo contesto ha il significato di valigia, solo che, negli anni trenta-quaranta del ventesimo secolo, noi abruzzesi montanari non avevamo alcuna possibilità di acquistare una valigia e, pertanto, al bisogno ci si rivolgeva al falegname del paese, il quale con gli avanzi delle tavole usate per la lavorazione dei cassoni, voluminosi contenitori atti a contenere il grano nelle campagne, assemblavano per poche lire, valigie in legno. Quello, era il momento per approntarne una per mio padre chiamato alle armi, chiamato in guerra. Io non ho voluto usare l’equivalente termine, valigia, sebbene più comprensibile ai più, perché mi è sembrato un gesto irrispettoso; la dignità di tutta una comunità, che è la stessa alla quale io appartengo e di cui mi sento parte a tutti gli effetti, passa soprattutto attraverso il riconoscimento delle parole e dello stato di ristrettezze vissuto e patito.
La poesia, titolata la cassetta, vuole essere un omaggio a mio padre, e ai tanti giovani, di ogni tempo e luogo, che vengono istantaneamente rapiti dalle loro case, dai loro affetti, dai loro interessi, dai loro studi, dai loro impieghi e vengono scaraventati nei più orribili, devastati e devastanti luoghi – non luoghi – a sparare, sganciare bombe e tanto altro ancora che per pudore non si può raccontare, annientando la propria e l’altrui umanità. Mio padre è stato il primo che mi ha descritto la guerra, facendomene un racconto i cui protagonisti, contrariamente a quelli che si legge sui libri di storia, erano gli uomini, le donne e i bambini; un racconto di sacrifici e privazioni, prevaricazioni, fame, bombardamenti e morte. Nei suoi racconti, come in quello di Mario Rigoni Stern, Il sergente nella neve, che molto più tardi ho letto, non esiste la parola nemico e questa assenza svela una dimensione umana, il nemico non esiste, sicuramente i nemici sono quelli che mandano intere generazioni a fare la guerra, così, attraverso le sue testimonianze, io ho maturato ben presto la necessità di scegliere da quale parte stare.
Dall’inferno della guerra, se si è fortunati, se ne può uscire, sicuramente, però, sempre indeboliti e fiaccatati nel fisico e nello spirito. Si può far ritorno a casa incattiviti o migliorati. Il segnale che diede mio padre, anni dopo a noi figli, fu quello di non far entrare nessun’arma giocattolo nella sua casa, dandoci così un forte indicazione alla pace.
Oggi nulla ci tocca più, la guerra men che meno. L’Ucraina è lontana, qualunque altro scenario bellico è fuori dalla portata dei giovani.
Maria, con un semplice oggetto, invita alla pace, anche chi non sa cosa siano guerra e pace. È un messaggio d’amore. Ascoltiamolo