di Angelo Panzone
Tra i personaggi che hanno caratterizzato la vita paesana di Bisenti nella prima metà del secolo scorso, uno di quelli che si ricordano con maggiore simpatia è sicuramente “Francìsche la Guardie”, all’anagrafe Francesco Valente.
Francesco, uomo dalla struttura fisica piuttosto rotonda e dai modi decisamente goffi, provava grande appagamento nel praticare la malsana abitudine di divorare cibo e tracannare vino fino a superare abbondantemente i limiti umanamente sopportabili.
A pensarci bene, sembra quasi che gli sceneggiatori del film “Guardie e ladri”, nella creazione del celeberrimo sergente Lorenzo Bottoni, interpretato da Aldo Fabrizi, si siano ispirati proprio alla figura di “Francìsche la Guardie”.
Infatti, la somiglianza tra Francesco e il sergente Bottoni, sia nell’aspetto somatico che nella movenza degli atteggiamenti, è straordinaria e, come se non bastasse, anche Francesco, in qualità di vigile urbano del paese, rappresentava un uomo di legge, proprio come il personaggio interpretato da Aldo Fabrizi.
Nella famosa scena in cui il sergente Bottoni insegue faticosamente il ladruncolo Ferdinando Esposito, interpretato dall’indimenticabile Totò, sembra proprio di rivedere il vigile Valente quando, dopo aver inutilmente rincorso i ragazzi che turbavano la quiete del paese combinando piccole mascalzonate, constatato di non poter mai riuscire a raggiungerli per redarguirli, si fermava all’ombra e tirava fuori dalla tasca un grosso fazzoletto con il quale si asciugava il sudore che gli grondava dalla fronte.
La più grande passione di “Francìsche la Guardie” comunque, oltre a quella delle grandi abbuffate, fu la musica: sin da bambino, infatti, iniziò a strimpellare il flicorno baritono nella Banda di Bisenti, a quei tempi diretta dal maestro Vincenzo De Palma, per diventare poi in età più matura raffinatissimo suonatore di bombardino nella Banda di Loreto Aprutino, sotto la direzione del maestro Daniele Napoletani.
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Francesco Valente sfila con il flicorno baritono tra le braccia durante una processione |
Anche frequentando la banda musicale del paese non smentì la sua fama di “buona forchetta”, tanto che numerosi sono gli aneddoti che i suoi colleghi musicanti hanno tramandato a proposito della sua proverbiale voracità. L’episodio più memorabile però è senza dubbio quello accaduto quando Francesco, ancora fanciullo, era alle prime esperienze e la Banda di Bisenti fu chiamata, per la festa di Santa Petronilla, ad Acciano, paese in provincia de L’Aquila, dove viveva il famoso “gigante” Giuseppe Catoni.
Terzo di cinque figli, già da bambino, Giuseppe Catoni cresceva di giorno in giorno a vista d’occhio: all’età di 16 anni era già alto due metri. Giuseppe continuò a crescere fino all’età di 24 anni quando raggiunse un’altezza di due metri e 25 centimetri, statura che gli consentì di entrare nel novero dei giganti.
Il “gigante di Acciano”, come veniva chiamato Giuseppe Catoni, restò fino all’età di 24 anni nel proprio paese natale, dove mise a frutto la sua prodigiosa forza muscolare, lavorando come bracciante per pochi spiccioli al giorno. Partito da Acciano, ben presto riuscì a fare tesoro della sua eccezionale corporatura realizzando favolosi guadagni con compagnie di saltimbanchi che proponevano, in giro per le maggiori città d’Italia, spettacoli nei quali il gigante esibiva la propria statura e la propria forza.
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Locandina di una esibizione del “Gigante di Acciano” |
In poco tempo, la grande popolarità nel frattempo raggiunta consentì a Giuseppe Catoni di espatriare a Parigi, dove si esibì come lottatore; le trionfali vittorie riportate resero il “gigante di Acciano” talmente celebre che fu chiamato alla corte reale dove fu assunto direttamente dal re Luigi Filippo d’Orleans che lo nominò guardaportone alla reggia con un favoloso stipendio. Quando il sovrano fu detronizzato, Giuseppe, insieme ad una cameriera della casa reale, abbandonò la Francia e girovagò per l’Europa orientale accumulando sempre più denaro con la prestanza fisica che sfoggiava tra lo stupore della folla. Giunto a San Pietroburgo, allora capitale della Russia, vi restò qualche tempo e anche lì fu assunto come guardaportone imperiale. Quando pensò che ormai aveva guadagnato abbastanza per vivere agiatamente decise di tornare ad Acciano, dove trascorse gli ultimi anni della sua vita tra lusso ed agiatezze di ogni genere.
A quei tempi, in occasione delle feste patronali, i musicanti della banda che allietava i festeggiamenti, per il pranzo, venivano invitati nelle diverse famiglie del paese e così, per la festa di San Petronilla, tra gli Accianesi che diedero la disponibilità ad ospitare i musicanti della Banda di Bisenti ci fu anche Giuseppe Catoni.
Il gigante, sia per il fatto che aveva ottime disponibilità economiche per le ricchezze accumulate in gioventù, sia perché la possente costituzione fisica gli richiedeva una nutrizione più abbondante del normale, era solito allestire dei banchetti luculliani; basta pensare che una volta, a causa di una scorpacciata di ciliege, ebbe una eccezionale indigestione che gli procurò una febbre da cavallo che durò due mesi e mezzo.
Il gigante, seppur in età oramai avanzata, non aveva perso l’abitudine di fare mangiate pantagrueliche e quindi, nel confermare la propria intenzione di accogliere un musicante, si rivolse al deputato della festa imponendo una condizione: “A casa mia, voglio il bandista che mangia di più!”
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Francesco Valente nella divisa della banda di Bisenti |
I musicanti, allora, quasi intimoriti dalla richiesta, di comune accordo ritennero che l’unico che poteva ben figurare a casa del gigante era Francesco il quale, anche se ancora ragazzo, già si dimostrava un insaziabile mangione.
Quando però ad ora di pranzo il gigante vide arrivare in casa, come proprio ospite, uno dei più giovani musicanti della banda andò su tutte le furie perché pensava che questo ragazzino non riuscisse ad apprezzare le numerose ed abbondanti portate che aveva approntato. Ma Francesco, per niente spaventato dal confronto con il gigante, fece piazza pulita di tutto ciò che gli venne servito e questa sua fantastica performance fece imbestialire il gigante che non accettò di buon grado di essere stato sonoramente “battuto” e, per giunta, da uno sbarbatello.