I ricordi di Tito

Tito Rocci scomparso da poco era una miniera di piccole e grandi emozioni.Pubblichiamo , grazie a Roberto Lotorio di Limnea maginot uno stralcio da “Piccola Città

di Tito Rocci

   Ricordi: un mondo passato della mia vita, una provenienza però da far conoscere ai figli. Sarà l’età che mi riporta indietro nel tempo e oggi mi dà maggior tempo per rivivere esperienze che mi hanno aiutato a crescere. Ricordo la necessità di “nuovi orizzonti” e la ricerca di questi; è stato un impegno costante della mia vita. Ma cosa conoscono i giovani di oggi del mare in cui abbiamo navigato e degli approdi che abbiamo costruito?

   Devo confessare che la speranza di costruire un mondo bello e sereno ha rappresentato il sogno della mia giovinezza. Alla fine degli anni ‘50 era il sogno dell’epoca. Stavamo uscendo dalle difficoltà della II guerra mondiale, difficoltà reali sia in termini di lavoro sia per mancanza di mezzi operativi e non, di certo, di obiettivi. Gli incentivi da parte dello Stato erano appena all’inizio, affidati ad un Ente di sviluppo per il Sud denominato Cassa per il Mezzogiorno, richiamo per imprenditori.  

   Cosa avevano i giovani della mia età?  Parliamo dell’inizio degli anni ‘60. Avevo 18 anni e i giovani dell’epoca avevano davvero poco in termini di opportunità, sia di lavoro che di studio, ma anche di svago rispetto ad oggi: le marachelle le dovevamo inventare. Le speranze erano tante e richiedevano impegno.

  Mi piace ricordare le prime conquiste sociali, che andavano dall’abbandono della fornacella a carbone per la “cucina economica”. La cosiddetta “ghiacciaia”, un contenitore di alimenti che venivano conservati tra pezzi di ghiaccio, incominciava ad essere sostituita dai primi frigoriferi e la radio, che si ascoltava tutti insieme davanti al fuoco del camino, veniva integrata dai primi televisori “collettivi” o multifamigliari. Le statistiche ci dicono che, alla fine degli anni ‘50, solo il 7% degli italiani possedeva un televisore mentre oggi ne abbiamo in casa quasi uno a testa. Era una tecnologia limitata, ma ci faceva “vicini”.

   Ricordo anche che con 100 lire (50 centesimi di oggi) si pagava sia l’ingresso del cinema sia il costo delle trasgressioni dell’epoca: la sigaretta comprata singola ed i bruscolini venduti dal mitico Pinocchio davanti al Supercinema. Il cinema era l’unico divertimento alla portata di tutti, e quando la televisione fece capolino, per non perdere clientela, alle 21 di ogni giovedì, dopo il fatidico “Carosello”, le sale si erano attrezzate per far vedere la trasmissione “Lascia o raddoppia”, che tanta popolarità riscuoteva in quel periodo, interrompendo la proiezione del film.

   Chi voleva ribellarsi a quel momento di crisi pensava ad andare via da Roseto, molti persino ad espatriare, come ci ha raccontato anche Maria Pia Di Nicola nel suo libro “Il gomitolo della vita” o Francesco Rocci nel libro “Una vita… due vite…”. 

   Il puntare ad obiettivi concreti consentì, negli anni che sono seguiti,  di costruire un mondo migliore in termini, se non di ricchezza, certamente di benessere più generalizzato, tanto da far definire quegli anni da Arnaldo Giunco come “fecondi anni ‘50”, articolo su Piccola Città da rileggere con tanta attenzione, proprio per cogliere i meccanismi che hanno caratterizzato la nostra crescita nonostante quel “sottile” senso di incertezza e di preoccupazione per il futuro presente quegli anni.

   Ebbene, oggi incertezze e preoccupazioni per il futuro, per una rinnovata precarietà di vita, ci sono ancora e forse è anche peggio di allora, ma in una prospettiva diversa.

   Allora le prospettive c’erano tutte, ma erano da conquistare con fatica e bene lo sa chi ha vissuto quel periodo sulla propria pelle. 

   Ti mettevano una valigetta in mano e partivi verso luoghi di lavoro e opportunità: operaio, marinaio d’altura, emigrante, studente; sì, anche gli studenti dovevano partire se volevano concretizzare il futuro con una laurea. Dovevano “andare”, dovevano puntare in alto e altrove.

   Ebbene, nonostante il tanto, costruito in termini di attività produttive, di ricchezze e benessere, di esperienza del passato, oggi manca nei giovani l’angoscia del futuro; sembra quasi che il domani non sia un problema. Tutto questo perché, per quelle scelte elencate, sono stati pian piano eliminati i punti di riferimento: il puntare in alto ed il pensare collettivo in modo sinergico che ci fa “parte” di un obiettivo comune.

   Oggi tutto è pensato in termini relativi. Tutto è proposto come omologo e privo di stimoli, tanto da sentire parlare di “notti del pensiero”. Crisi di rapporti con gli uomini e con Dio.

   Cosa è diverso oggi rispetto al dopoguerra illustrato? Anche allora c’era crisi, ma era soprattutto economica. C’era una povertà da superare, un obiettivo che sapevamo raggiungibile solo mettendo in campo le rispettive forze. C’erano prospettive da conquistare ma erano obiettivi pensati per i quali lottare e, quando si “pensava”, lo si faceva “alla grande”. Insomma ci si pensava, “’bbone”, come si dice in gergo, e poi ci si impegnava alla ricerca di fortuna, di affermazione, con iniziative produttive, anche piccole ma che, proprio perché opera di tanti sotto forma di piccola impresa, tanta ricchezza hanno poi creato.

   Pensare alla grande voleva dire programmare un percorso con un obiettivo da raggiungere. Se questo manca, e ogni volta che questo manca, si pensa solo in piccolo, senza prospettive ma soprattutto senza entusiasmi. Manca la visione di un futuro che è anelito di vita creativa. Si pensa solo a sbarcare il lunario non si costruisce niente di buono per il futuro, niente di duraturo o, nella peggiore delle ipotesi ci si affida ad altri, perdendo identità e prospettive.

  Aiutiamo i giovani a riappropriarsi della loro vita, ricordando loro che il “paradiso terrestre” lo abbiamo perduto tanto tempo fa e, quando questo è accaduto, ci è stato detto che il pane ce lo saremmo guadagnati con il sudore della fronte. Coloro che li hanno preceduti ce l’hanno messa tutta e ricordarlo aiuta a ritrovare riferimenti. 

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