FLAIANO, AFORISMI MATTUTINI
di Mario Giunco
“La sera in cui mi fu consegnato il Premio Strega tornai a casa da solo, ricordo che un cane randagio si intestò a seguirmi sulle scale e volle entrare. Come rifiutarsi? Gli preparai una zuppa di latte e lo feci dormire sullo scendiletto: la mattina andò via. Ma neanche la sua compagnia era riuscita a confortarmi. Avevo in tasca un assegno, duecentomila lire e la certezza che non mi appartenesse”. Ennio Flaiano (Pescara, 1910 – Roma, 1972) non si aspettava di vincere la prima edizione dello Strega (1947) con il romanzo, rimasto unico, Tempo di uccidere. A leggerlo e rileggerlo – è considerato fra i capolavori del Novecento – con l’appendice di Aethiopia. Appunti per una canzonetta, si capisce che i giurati avevano visto bene.
La storia, narrata in prima persona, di un ufficiale italiano, che, durante la campagna d’Africa, uccide una giovane indigena con cui ha avuto un fugace rapporto erotico e viene sopraffatto dai sensi di colpa, fino a perdere cognizione della realtà, quando sospetta di essere stato contagiato dalla lebbra, appare di sorprendente attualità. C’è tutto il Flaiano da venire, quell’io che avrebbe cercato invano di rimuovere: l’adolescente ferito nell’intimo, perché figlio minore, “arrivato a tavola sparecchiata, alla frutta” e poco considerato in famiglia; l’esperienza, non meno frustrante, del collegio, della disciplina militare, della guerra, del male che “ci procuriamo quando scopriamo quello che noi siamo veramente”; la fuga dalla provincia verso Roma; la “grande bellezza” della Città; il richiamo del teatro e del cinema (è stato autore, a volte non accreditato, di più di settanta fra soggetti e sceneggiature, a fianco dei più importanti registi dell’epoca: Luigi Zampa, Alberto Lattuada, Roberto Rossellini, Mario Monicelli, Steno, William Wyler, Mario Soldati, Camillo Mastrocinque, Alessandro Blasetti, Luis Berlanga, Dino Risi, Eduardo De Filippo, Elio Petri, Antonio Pietrangeli, Michelangelo Antonioni, Giuliano Montaldo; ha recitato in Mio figlio professore di Renato Castellani);
il sodalizio e la corrispondenza di affetti, sbiaditasi nel tempo, con Federico Fellini, da cui vennero i film Lo sceicco bianco (1952), I vitelloni (1953), La strada (1954), Il bidone (1955), Le notti di Cabiria (1957), La dolce vita (1960), 8 1/2 (1963), Giulietta degli spiriti (1965); l’amore tenace per l’Abruzzo. “Non pretendiamo di enunciare cosa nuova – scrive ne Il Messia -osservando che, se l’Abruzzo è la regione d’Italia dove la pratica della religione Cristiana ha conservato molti caratteri pagani, è tuttavia anche la regione dove si ‘crede’ nel senso più filosofico della parola: per il bisogno di credere alla metafisica stessa.
Perciò in questo paese Religione e Vita spesso si identificano: le Madonne Abruzzesi, per esempio, rispondono iconograficamente all’immagine della madre abruzzese: addolorata, sempre in angustia per i figli che lasciano il paese in cerca di migliore fortuna, sempre vestita di nero per i lutti del parentado, col cuore trafitto da sette spade e due tonde lacrime eternamente fermate sulle guance; il contrario delle madonne fiorentine e veneziane del Rinascimento, ricche mogli di mercanti e signore pasciute composte sotto baldacchini di stoffe e di fiori”.“Se Flaiano è abruzzese, lo perdono” esclamò Gianni Brera, al termine di una sapida disputa sul linguaggio dei giornali sportivi. E poi la solitudine (nel 1970, malato, si rinchiuse in un residence, per riordinare le sue opere disperse), la malinconia, la scontentezza esistenziale;
il rifugio in una scrittura breve e sincopata, aforistica, epigrammatica, ironica, caustica e tagliente, affidata alle pagine dei giornali o a frammenti irrisolti, alternando pillole di saggezza alla lezione dei moralisti classici e di tre poeti latini prediletti: Catullo, Marziale e Giovenale. Lo scrittore, insieme alla moglie Rosetta e alla figlia Luisa (la dolcissima Lelè), riposa nel cimitero di Maccarese (Roma). Il suo archivio è conservato nel Fondo Manoscritti dell’Università di Pavia, per iniziativa della filologa Maria Corti.
Il materiale cinematografico, con disegni e documenti vari, è custodito e consultabile (intelligentibus pauca!) nella Biblioteca cantonale del Ticino di Lugano, cui fu donato dalla moglie. A Pescara gli è stata intitolata la via, dove resta la casa natale, a pochi passi da quella di Gabriele d’Annunzio. Il festival cinematografico porta il suo nome. Nel cinquantenario della scomparsa, Raitre Abruzzo lo ricorda ogni mattina nel notiziario regionale, mentre scorrono i titoli di coda, attingendo alla copiosa raccolta dei suoi aforismi, che fanno la fortuna di tutte le antologie.