di Angelo Panzone
La storia di Guido Mattucci che andò in America per conquistarla da protagonista
Una volta arrivato in America, Guido si stabilì a Philadelphia dove, a differenza di tutti gli altri emigrati, non andò alla ricerca di un lavoro stabile e remunerativo, ma si iscrisse all’Accademia delle Belle Arti per raffinare le proprie doti artistiche.
Lontano dalla famiglia, Guido si scrollava di dosso la malinconia causata dalla solitudine andando a trovare a Pittsburgh il fratello Umberto, di qualche anno più giovane di lui, il quale viveva negli Stati Uniti lavorando come sarto. Tra i due fratelli vi era grande affiatamento visto che entrambi erano affascinati dall’arte. Umberto, infatti, oltre che raffinato poeta dialettale, era anche un pregevole musicista, formatosi nella scuola di musica della Banda di Bisenti e divenuto, tra i suonatori di trombone abruzzesi, uno dei solisti più apprezzati; anche in America aveva continuato a coltivare la passione per la musica e per la poesia, diventando capobanda del Corpo Musicale di Philadelphia e componendo stupendi versi dialettali dedicati alla sua Bisenti, il cui passionale trasporto indusse i suoi compaesani ad intitolargli la locale Sezione dell’Istituto Dialettologico d’Abruzzo e Molise.
Guido, non volendo gravare sulle spalle del fratello Umberto, per reperire le risorse economiche necessarie a far fronte alle spese per gli studi e al proprio sostentamento si dedicò all’attività di ritrattista che risultò subito molto redditizia. La fama di Guido Mattucci, sia per la vivacità del tocco che per la spontaneità di espressione che riusciva a conferire ai soggetti che ritraeva, in poco tempo crebbe in maniera esponenziale: furono infatti tanti i personaggi famosi e facoltosi che ambirono a farsi ritrarre da “quell’artista italiano così bravo”. E tra queste persone ragguardevoli che si fecero raffigurare dai pennelli di Guido Mattucci ci fu anche il Governatore del Massacchusets il quale, entusiasta dell’olio su tela che lo ritraeva, procurò a Guido Mattucci un posto di riguardo alla Metro Goldwyn Mayer.
Fu proprio nella famosa casa cinematografica che Guido Mattucci, iniziando a lavorare come esecutore dei cartelloni pubblicitari dei film in prima visione, ben presto ebbe la possibilità di dare sfogo alla propria acuta ingegnosità trasformandosi da pittore ad inventore. Nell’esercizio dell’attività pittorica Guido Mattucci aveva sempre posto al centro della sua espressione figurativa il colore e fu proprio questo elemento artistico a suggerirgli un’idea che gli aprì le porte del successo, quel successo che aveva inseguito con fermezza e caparbietà: l’invenzione del “Densicrometer”, una geniale apparecchiatura per la correzione del colore nello sviluppo delle pellicole fotografiche e cinematografiche.
Questo “strano” strumento, in particolare, serviva per determinare con esattezza, e non più empiricamente, la tonalità di colore da applicare tra le infinite possibili scelte che si possono effettuare nella vasta gamma di tinte derivanti dalla fusione dei tre colori principali.
Erano quelli i tempi in cui nel cinema il passaggio dal “bianco e nero” al “colore” sembrava una vera e propria utopia: l’invenzione di Guido Mattucci, consentendo con facilità il ritocco delle pellicole, permise alla Metro Godwyn Mayer, tra lo stupore dei cinefili di tutto il mondo, di avviare la produzione dei primi film a colori.
Ideato già nel 1947, il “Densicrometer” fu messo a punto da Guido Mattucci nel corso della sua carriera nella Metro Goldwyn Mayer, la quale sfruttò l’efficacia di questa invenzione per lanciare definitivamente il “Technicolor”.
Quando nel 1958 Guido ritenne che il suo strumento era stato perfezionato al meglio, decise di presentarlo all’Ufficio Brevetti e, reputando di aver compiuto la sua “missione”, decise di tornare in Italia dalla sua famiglia. Due anni dopo, il 21 giugno del 1960, a Guido Mattucci arrivò dagli States una notizia che lo ripagò degli studi e dei sacrifici che aveva fatto in America: la “United States Patent Office” aveva brevettato il suo “Densicrometer”.
Racconto bellissimo, un tuffo nella nostra storia bisentina, ricca di arte , cultura, artigianato di alto livello