Lucia Guida è una raffinata scrittrice . Ci siamo conosciuti tanto tempo fa. Lei , bontà sua , mi affidò a Pescara la presentazione di un suo lavoro. Ci vediamo poco ,ci “frequentiamo” sui social, ma e’ un’amica stimata.
Sta come un pesce
che ignora l’oceano
l’uomo nel tempo.
Issa Kobayashi 1763-1827
Se c’è una cosa che ci unisce tutti al di là di sterili polemiche, rimpianti e recriminazioni pseudo o post scientifiche sulla gestione della pandemia pre, peri e post è la consapevolezza che i due mesi abbondanti di isolamento in casa ci ha restituito: la necessità di gestire il nostro tempo in maniera ottimale e consona alle nostre esigenze più profonde.
Grazie anche a quelle idee e quei valori che ci fanno sorridere e che ci illuminano in volto quando al culmine di una giornata che non è andata come ci saremmo aspettati pregustiamo già come ricompensa finale la possibilità di rifugiarci sotto il nostro palmizio preferito. Un libro accompagnato da un buon bicchiere di vino o una tisana per i più salutisti nella tranquillità dei nostri spazi domestici possono essere un buon traguardo di fine giornata cui aspirare lontani dalla pazza folla e da ciò che della quotidianità spicciola, (quella di cui non possiamo fare a meno perché ci assicura tranquillità e sostentamento quanto meno materiali) ci piace un po’ meno.
L’esempio che ho fatto è uno dei tanti modi che abbiamo per trascorrere in maniera qualitativamente accettabile ciò che nessuno potrà toglierci, se soltanto noi faremo in modo di impedire che ciò accada: il nostro tempo extra, quello che avanza tolti gliadempimenti della nostra routine. Quei pochi istanti preziosi che sono la giusta ricompensa all’impegno che mettiamo nelle incombenze di cui dobbiamo doverosamente occuparci e che per cause di forza maggiore non possiamo quindi sfrondare come vorremmo.
Le ore libere da impegni pressanti ci aiutano a ricaricarci per tutto quel tempo in cui al contrario ci sobbarcheremo di ben altro. È, quindi, importante riempirle di eventi,cose e situazioni che ci facciano star bene arricchendole di persone che ci offrano quel valore aggiunto che può e deve fare la differenza: se, infatti, da soli non possiamo stare in virtù della nostra natura di animali sociali possiamo, però, decidere di circondarci di gente che condivida il nostro stesso sentire, che contribuisca al nostro benessere psicofisico e a cui offrire lo stesso trattamento in maniera paritaria. Se io sto bene con te e tu con me traiamo entrambi lo stesso reciproco vantaggio.
Se, poi, noi siamo impegnati anche con terzi in attività che ci danno la possibilità di condividere spazi, luoghi o sensazioni questo senso di affinità reciproca si rafforza e consolida maggiormente, diventiamo stimoli gli uni per gli altri, traiamo il doppio della forza per superare eventuali ostacoli, gioiamo di più dell’esperienza che abbiamo vissuto in comunanza di intenti.
Condurre in maniera virtuosa le nostre relazioni interpersonali non è tuttaviainconciliabile con la pratica di hobby da condurre individualmente. C’è sempre bisogno di approfondire la conoscenza personale del sé e una attività gestita in solitaria fa benissimo allo scopo. Parlerò ancora di me per spiegarmi con maggior chiarezza. Durante il lockdown ho trovato grandissimo giovamento nel crochet. Per me come del resto per molti era difficile potermi rilassare e dormire per più di un tot di ore notturne. Lavorare all’uncinetto mi ha permesso di dipanare più di un filo di lana o cotone.
Concentrarmi su un progetto o creare io stessa un lavoro col filato che avevo a disposizione è stato per me di grande soddisfazione. In quel periodo non ho scritto nulla se non una poesia in versi sciolti poi pubblicata in un’antologia di AAVV per scopi benefici: non ero in grado di fermare su una pagina di carta o virtuale i miei pensieri, né mi riusciva di fantasticare su personaggi che avrebbero portato alla luce le mie idee più profonde.
Lavorare a crochet, invece, mi restituiva il senso di quelle lunghe giornate (e nottate) trascorse a casa poiché il prodotto finito di tante ore spese a fare e disfare era sotto i miei occhi a comunicarmi il senso di una progettualità reale, concreta, dall’aspetto esteticamente accattivante che c’era ancora e che non era sparita assieme alla libertà di muovermi o frequentare gente. Ero ancora capace di dar forma a qualcosa che potesse veicolare ad altri ma soprattutto a me stessa un’idea viva della me dell’epoca costretta a gestire la mia vita di docente impegnata nella DAD per qualche ora al giorno oltre al mio ruolo di madre, sorella, figlia di persone fisicamente lontane da me. Col ritorno alla normalità (sempre che giornate tutte in fila possano definirsi tali) e un allentamento delle strettoie imposte dalla pandemia non ho abbandonato quest’hobby. Gli devo infinita riconoscenza per un’infinità di motivi: come già dicevo, per aver stimolato il mio senso di autostima ma anche per avermi in soldoni ricordato che non ha senso terminare in fretta (e male) qualcosa che con del tempo supplementare e magari maggior freschezza materiale e mentale potresti portare a compimento decisamente meglio. A essere, cioè, paziente e lungimirante in un frangente in cui ogni cosa in maniera drammatica confluiva a sottolineare il qui e ora perché del domani certezza assoluta non ve n’era più. Ad aiutarmi a concedermi Tempo: quel “dar tempo al tempo”, adagio preferito di mia nonna Nina che alla fine serve a capire che ogni cosa per arrivare al giusto traguardoha necessità di maturare con ritmi che potrebbero non coincidere con quelli che ci siamo (o che ci hanno) imposti. Da qui l’imperativo categorico per l’essere umano di provare a dosare meglio che può ciò che del Tempo può liberamente disporre, che siano cinque minuti o molto di più. Che sia una vita intera. L’unica che ci è concessa di avere e di cui dobbiamo doverosamente avere massima cura anche nelle piccole e indispensabili sfumature.
Lucia Guida