Il libro di Claudio Angelozzi
Lo conosciamo da tempo. E’ stato sindaco di Roseto ma oggi si presenta come scrittore documentarista .Non e’ il primo lavoro prodotto come narratore di gialli. Angelozzi che è atriano di nascita ha studiato e ricercato materiale all’archivio di stato di Teramo prima di scrivere un libro avvincente e anche ben scritto, per i tipi di “Hadria edizioni.” .Scrive Claudio Angelozzi
Gli avvenimenti raccontati in queste pagine sono frutto
di fantasia e si svolgono nel Regno delle due Sicilie, in Atri,
nell’Abruzzo Ulteriore Primo, all’epoca dei Borbone e del Re
Ferdinando I.
Atri, la Hatria Picena, era stata una potente città in posizione
strategica su una collina con porto marittimo e un territorio
vastissimo (L’Ager Hatrianus), una storia millenaria e sede
ducale degli Acquaviva.
Soltanto alcuni personaggi, quali Gaetano Fedri e il Sindaco
Don Domenico Torinese, si riferiscono a persone realmente
esistite. Lo stesso Gaetano Fedri risulta uno dei 53 firmatari
della lettera-petizione in data 14 Sett. 1817, indirizzata al Sindaco
di Atri e conservata presso l’Archivio di Stato di Teramo
(Sezione: Affari Ecclesiastici, Busta 48, Fascicolo 1671), che
costituisce lo spunto storico della narrazione.
Gaetano Fedri è il mio quintavolo (il nonno del mio bisnonno).
Nasce ad Atri il 7.7.1785 ed ivi muore il 13.1.1853.
Discendente da una famiglia di abili organari il cui capostipite
atriano è Adriano Fedri di antica e prestigiosa famiglia marchigiana (Fedeli), di Cornieto, allora nel Comune di Rocchetta
di Camerino, composta di notai e costruttori di famosi organi1
disseminati in Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo ed a Ferrara.
Lo stesso Gaetano è forse l’ultimo organaro della stirpe, in
quanto il mestiere stava per tramontare: infatti egli viene nominato
anche Agrimensore Regio, che sarà poi la professione
della discendenza.
Quindi una narrazione costruita in una ambientazione storica,
sulla base di un personaggio realmente esistito e su un
fatto realmente accaduto con documenti e luoghi verificati.
Un gruppo di persone facenti parte della classe proprietaria
fondiaria, gentilizia e professionale della Città di Atri,
rivolse una istanza al Sindaco Don Domenico Torinese per l’abolizione
della imposta dovuta al clero, detta “Decima Sacramentale”.
La Decima era una imposta fondiaria così chiamata
perché costituita dalla decima parte del raccolto, del prodotto
netto della terra o dal reddito di altre attività, corrisposta al
privato proprietario, al signore feudale o allo Stato. Nel nostro
caso: specifico tributo ecclesiastico pagato alla Chiesa in base
ad antiche convenzioni. (Note 4-5)
Nell’anno 1817 si verificò una grave carestia che ridusse
alla fame la popolazione più povera e che, insieme al tifo
petecchiale, decimò le contrade. (Il Prof. Sandro Galantini ci
dice che nei registri parrocchiali di Giulianova ad ogni nome
c’è l’indicazione “quia fame periit” ed anche “non refecta ali-
quo sacro, quia fame periit”, (non fu confortato da alcun sacramento
perché morì di fame”).
L’esazione delle decime sacramentali cessa con rescritto
reale del 1841.
È facile pensare che il fatto inusuale per quei tempi fu preso
molto male dal clero atriano, anche perché costituiva un
precedente pericoloso, sia per il mancato introito che per l’aspetto
politico: il clima è quello della restaurazione.
Nel Re Ferdinando I di Borbone, “per grazia di Dio”, si
accentravano tutti i poteri dello Stato: legislativo, esecutivo,
giudiziario (anche se quest’ultimo esercitato nella forma della
giustizia delegata, ossia attraverso i giudici nominati dal Sovrano).
Inoltre il Re era comandante in capo dell’esercito e
dell’armata di mare; era il vertice dell’amministrazione civile.
Pur essendo un monarca assoluto, Ferdinando era condizionato
dal rispetto di una serie di regole e da una rete di privilegi civili
e soprattutto ecclesiastici, di ceti, corporazioni, istituzioni
che ridimensionavano la sua azione: in effetti il Re non era mai
solo, accanto a lui vi erano i rappresentanti di tutti gli interessi
prevalenti del Regno.
Tornato a Napoli Ferdinando, dopo un periodo transitorio
teso a favorire un tentativo di riorganizzazione degli affari di
stato, nel 1817 attuò la riforma dell’Amministrazione.
Il Comune era la base dell’Amministrazione Pubblica.
Il godimento dei diritti politici era subordinato ad alcuni
requisiti: età, sesso, cittadinanza, domicilio nel Comune da almeno
5 anni, censo (12 ducati annui per i comuni con popolazione
inferiore a 3.000 abitanti e 24 ducati annui per i comuni
maggiori) o, in alternativa, esercizio di una libera professione
o l’essere agricoltori per conto proprio, benché su terreno altrui).
Erano ineleggibili gli ecclesiastici, i domestici ed operai,
gli interdetti dai pubblici uffici, mentre potevano essere eletti
anche gli analfabeti.
Il Regno delle Due Sicilie era stato costituito come Regno
unitario l’anno prima, nel 1816 sotto forma di Monarchia assoluta.
Nello stesso anno era stato nominato Sindaco di Atri Don
Domenico Torinese, ricco possidente di una delle famiglie più
influenti.
Questo il quadro sintetico dell’ambientazione storico.