Chiamato “Tuffo”, nel centro della Val Fino , sta tramontando la tradizione
di Angelo Panzone
Sono ormai pochi gli appassionati dell’antico gioco, un tempo assai in voga a Bisenti
Con l’approssimarsi del Natale vengono puntualmente rispolverate le numerose tradizioni legate a tale festa religiosa, anche se purtroppo con il passare del tempo molte di queste usanze vanno sempre più scomparendo. A Bisenti, ad esempio, durante questo periodo, in quasi tutte le famiglie, all’insegna del proverbiale spirito di serenità ed armonia che contraddistingue proprio le festività natalizie, vi era la consuetudine di invitare amici e parenti per trascorrere spensierate serate in allegria e soprattutto per sfidarsi nell’appassionante ed esilarante “Giuoco del Cucco”, uno dei più antichi giochi di società per il quale è necessario l’impiego di un mazzo di 40 carte speciale, prodotto dalla Masenghini di Bergamo.
Il “Giuoco del Cucco”, un tempo molto conosciuto in gran parte del territorio europeo, seppure con differenti varianti caratteristiche delle diverse aree geografiche, oggi è diffuso soltanto in tre distinte e tra di loro lontane parti del mondo: alcune lande della Danimarca, qualche località delle valli bergamasche ed alcune zone della Provincia di Teramo, per l’esattezza Montorio al Vomano e Bisenti.
Addirittura, a Montorio al Vomano, già da alcuni anni è nata ed opera un’associazione culturale, il “XV del Presidente”, che ha come obiettivo primario la promozione del “Giuoco del Cucco” e a tale scopo organizza manifestazioni, convegni e persino corsi di formazione per principianti.
Per pura curiosità, occorre far notare che, nonostante Bisenti e Montorio al Vomano siano centri non molto distanti tra loro, il regolamento applicato nelle due diverse zone presenta alcune diversità e finanche la denominazione del gioco è differente: infatti a Montorio il “Giuoco del Cucco” viene chiamato “lu Stù”, mentre a Bisenti è conosciuto come “lu Tuffe”.
L’antichità del gioco è chiaramente desumibile dalle raffigurazioni e dai fregi, di evidente impronta medioevale, riprodotti sulle carte. I quaranta pezzi del mazzo si compongono, infatti, di due serie, uguali tra loro, formate ciascuna da venti diversi tipi di carte: dieci del genere “numeri” e dieci del genere “figure”. In particolare, nel tipico stile medioevale, le dieci carte del genere dei “numeri” presentano i numeri romani da I a X rappresentati tra una ghirlanda di ornamento sul bordo superiore e un paesaggio sul lato posto in basso, mentre le dieci carte del genere delle “figure” sono caratterizzate da soggetti dalle forme e dalle sembianze a volte bizzarre e a volte raccapriccianti.
Nello specifico, le dieci figure del “Giuoco del Cucco” o, come è meglio conosciuto a Bisenti, del “Giuoco del Tuffo”, dalla carta di valore più basso a quella di valore più alto, stando alla terminologia in uso nel paese dell’Alta Valle del Fino, sono le seguenti: “lu Matte”, “lu Razzante”, “lu Mascarone”, “la Callarucce”, “lu Nulle”, “la Casotte”, “lu Gnaf”, “lu Cavalle”, “lu Bum”, “lu Cucù”.
Delle varianti, in merito alle regole, assunte dal gioco nelle differenti zone di diffuzione si è già
accennato, ma a tal proposito occorre sottolineare che discordanze si registrano anche a proposito della denominazione delle carte: ad esempio, la figura che a Bisenti è “lu Bum” viene ufficialmente indicata dalla Masenghini con il nome di “Bragon”, mentre quella che a Bisenti è “lu Razzante”, e nella denominazione ufficiale è “il Leone”, si chiama “il Brescia” nelle valli Bergamasche e “lu Rattacule” o “il Fu” a Montorio al Vomano; analogamente, la carta detta “Locanda” nella terminologia ufficiale, a Bisenti nota come “la Casotte”, a Montorio al Vomano viene chiamata “la Taverna”.
Il tratto pittorico delle figure è indubbiamente molto suggestivo e particolarmente stravagante: il “Matto” è rappresentato da un tipico giullare rinascimentale, il “Razzante” è un leone rampante su uno stemma, rivolto verso un sole raggiante, “lu Mascarone” non è altro che un volto di satiro con il motto “Mascherone manco di secchia”, il “Secchio” è un mastello verde su pavimento a quadretti rossi e gialli, con il motto “Secchia meno di nulla”, il “Nulla” è costituito da un cerchio giallo, la “Locanda” reca l’immagine di un’osteria ed il motto “Fermatevi alquanto”, lo “Gnaf” presenta l’immagine di un gatto e il motto “Gnao”, il “Salta” mostra un cavallo rampante, il “Bum” reca l’immagine di un fante in abiti più o meno cinquecenteschi e una specie di grossa rosa in mano, con il motto “Hai pigliato Bragon”, il “Cucco” è un gufo coronato.
Per quanto riguarda la rappresentazione allegorica delle carte, si nota immediatamente che alcune figure sono quasi spaventose; per tale ragione, nel passato, in tempi in cui la superstizione era molto diffusa tra la gente, molti ritenevano che le carte del “Giuoco del Cucco” fossero addirittura state concepite dal diavolo in persona. Tale convinzione, infatti, era indotta da figure come quella del gatto, raffigurata sulla carta del “Gnao”, caratterizzato da un volto quasi umano, oppure del cavallo, presente sulla carta del “Salta”, che presenta un singolare muso caprino o, ancora, del cuculo della carta del “Cucco”, contraddistinto da una insolita cupezza e da un aspetto da civetta.
A Bisenti, oramai, rimangono soltanto in pochi i nostalgici appassionati del “Giuoco del Cucco” o, per dirla nell’idioma locale, “Giuoco del Tuffo”, ma a testimonianza della grande popolarità che il gioco ha avuto in paese nel passato rimangono alcuni modi di dire: per esempio, quando si vuole additare qualcuno come persona poco affidabile e rischiosa da frequentare, ancora oggi si suole chiamare tale individuo con l’epiteto “lu matte di lu Tuffe”; nel caso in cui, invece, si ha la necessità di impedire a qualcuno di avanzare proposte che già si presagiscono indecenti, tra i bisentini, ispirandosi al motto riportato sulla carta della locanda, si usa tuttora sentenziare “fermatevi alquanto”
Per sommi capi, le regole del gioco, prevedono i seguenti principi di massima: il numero di giocatori che possono partecipare va da un minimo di due ad un massimo di quaranta; ogni concorrente versa prima della partita una puntata convenuta ricevendo in cambio tre gettoni che dovrà riconsegnare, durante le diverse “mani” della gara, man mano che a causa delle dinamiche del gioco si troverà nella posizione di giocatore perdente; vince la partita, e quindi la posta in gioco, l’unico partecipante che rimane in possesso di almeno un gettone.
Dopo che il mazziere ha distribuito una carta ad ognuno dei partecipanti, il giocatore alla sua destra dichiara “sto” se intende tenere la carta oppure “passo” se intende liberarsene: nel primo caso il gioco tocca al concorrente successivo, che a sua volta farà una di queste due dichiarazioni, nel secondo caso invece il giocatore alla destra del “passante” deve scambiare forzosamente, con costui, la sua carta, a meno che non abbia una figura di valore superiore al X.
Infatti, quando, chiedendo di passare la carta, si scopre che il giocatore alla propria destra ha una figura di valore dal XI al XV, tale operazione di scambio della carta non risulta possibile ed in aggiunta si subiscono delle penalizzazioni come, ad esempio, il pagamento di un gettone, nel caso si tratti di uno “Gnaf” o di un “Bum”.
Terminato il giro, tutti i giocatori scoprono la propria carta e chi ha il valore più basso paga un gettone al piatto; chi ha il matto paga comunque, perché il matto ha proprio la singolarità espressa
dal motto “il matto paga e fa pagare”. In un solo caso il matto non paga, quando fra le carte scoperte
ci sono due matti (si dice che “due matti si salvano”); in tale situazione infatti i due giocatori che hanno il matto non solo non pagano ma “riacquistano”, cioè riscuotono ognuno un gettone dal piatto.
Il gioco va avanti tra “gnaffate”, “bummate”, varie movimentazioni obbligate di carte consistenti in balzi o regressioni ed estenuanti trattative “all’osteria” per cercare di eliminare i propri avversari e ridurre il novero di partecipanti a soli due giocatori che si contenderanno la posta finale.
Il gioco dunque non è altro che una allegoria della vita: in una tavolata di concorrenti (la società), ogni individuo (uomo) ha in mano una carta (la propria sorte) ed ognuno ha la possibilità di passarla (possibilità di evitare le vicissitudini della propria vita). I giocatori sono però bloccati da certe figure rappresentate su alcune carte (i potenti della società) e può capitare di subire delle penalizzazioni (soprusi). Alla fine si scoprono le carte e la più bassa (il capro espiatorio) paga per
tutti, mentre gli altri (i più fortunati) se la cavano.