di Maria Matani
Patto onesto con la solitudine
Ma cos’è poi la solitudine?
La solitudine non esiste.
Tanto più soli sembriamo,
tanto più in compagnia siamo.
Ricordi e profili di persone,
pur antichi, riempiono i nostri vasi,
rendendo i liquidi in vitale movimento,
sempre più compressi e tumultuosi.
Solitudine, apparentemente,
solo apparentemente sei solo,
in realtà, sei rigurgitante di tutto,
al punto che per nessun altro vi è posto.
Solitudini
Ti ho incontrato per caso davanti a una saracinesca chiusa di una merceria. Non ti avrei notato, non eri interessante e neppure cercavo persone interessanti. Mi ero fermata in un angolo intenzionata ad attendere l’orario d’apertura dell’esercizio. È stato in questo frammento di tempo fermo che ho notato la tua iperattività, passeggiavi nervosamente avanti e indietro nel piccolo antro antistante il negozio, accompagnando i passi con un soliloquio via via più importante, è stato quello il momento in cui ho alzato gli occhi, sono uscita dai miei pensieri e per un attimo ti ho guardato.
Eri un uomo antico, aldilà dell’età avevi un vissuto storico che schiacciavano le tue spalle coperte da una specie di eskimo e datavano i capelli lunghi e bianchi raccolti in una coda spiumata. L’interessamento, la curiosità, il richiamo verso una determinata ferita è qualcosa di non facile da decifrare; forse sono stata calamitata dalla bianca coda scompigliata, eppure rimasta imprigionata nell’elastico liso per decenni; forse virata dal castano al bianco nella prigionia dell’elastico, un elastico portatore di informazioni fondamentali della vita di un uomo, depositario delle cause delle manifestazioni neurologiche involontarie e non coordinate, capaci di consegnare l’uomo in balia della sua irrequietezza, che ora, dinanzi a una frustrazione, come un’attesa imprevista, cerca di dissipare, impazienza, ansia e nervosismo attraverso piccoli pertugi. Ammassi gassosi di insoddisfazioni accresciute e compresse in un lungo arco di tempo, astrattamente pari a mezzo secolo di vita ecco che si avvalgono di uscite di fortuna occasionali, gratuite e provvidenziali, seppur mai risolutive.
Eppure, quello strambo uomo, tormentato da movimenti rigidi, parole mozzicate, scosso da una incoercibile fretta non supportata, peraltro, da una qualche motivazione sostanziale, è stato abile a stabilire un dialogo con la mia persona, che se ne stava quieta e apparentemente disinteressata. In realtà, ancor prima che profferissi parola, dentro di me si era già avviata una sorta di conversazione tra me e me nei suoi confronti.
Cosa ci faceva un uomo siffatto, davanti a una saracinesca abbassata di una merceria, in fibrillante attesa? Era stato mandato da sua moglie, forse una moglie molto più anziana di lui e non in grado di deambulare? Forse no, nessuna donna avrebbe potuto resistere al cospetto di tanta smania e di contro, l’irrequietezza personificata non avrebbe potuto tollerare nessuna figura stabile dotata di una respirazione normale, né tanto meno avrebbe sopportato una donna affetta da tachipnea.
Si, quell’uomo così fuori dal mio immaginario, che si allontanava e poi si avvicinava, che mi girava attorno, rispettando tuttavia la distanza di sicurezza, stranamente aumentava la mia concentrazione e la mia curiosità nei suoi riguardi. All’improvviso, come nella storia di una scintilla, nel crocicchio di una fontanina novecentesca, l’uomo antico si è acceso di parole, facendo fluire l’acqua rimasta a lungo depositata nelle sue arrugginite tubature umane. Nei pressi della fontanina si è prima materializzata la sua compagna scomparsa tra le mura dell’ospedale, crudelmente rapita, persa senza il conforto di un saluto, nel periodo buio quando era impossibile visitare i ricoverati e subito dopo nello stesso crocicchio angusto si è materializzata l’ex moglie, quella che, quando ancora erano in costanza di matrimonio, aveva subito un crollo economico a causa di una commessa non pagata, ma bene così, perché se lo meritava, aveva messo al mondo un figlio che a lungo le aveva fatto credere fosse suo.
Da quando il figlio era nato sotto il segno della insincerità, ammantando di scuro l’intera esistenza di un padre tradito e umiliato, era trascorso quasi mezzo secolo ed ora, il crocevia sotto il cielo autunnale diventava, come allora, parimenti gravido di nuvole nere, mentre la saracinesca ocra rimaneva spavaldamente chiusa. L’elastico per cui l’uomo antico, con i suoi problemi rimescolati e a bianco d’uovo montati, era rimasto in forzata attesa da oltre mezz’ora, intenzionato ad acquistarne una quantità considerevole, sì che potesse tenere legati per anni ancora i suoi capelli lunghi e bianchi in una coda di cavallo, metafora e testimone di brutali questioni di cuore e strambe situazioni relazionali, era una realtà che veniva progressivamente e pericolosamente demolita.
Improvvisamente l’uomo girò sui tacchi, uscì dall’area angusta dove la fontanina di città, ora in pensione, a lungo aveva svolto la sua onorata funzione, in un istante la sua figura si confuse con la bruma e poi inghiottito dall’oscurità.
Solitudini.
La solitudine la creiamo noi, o gli altri che l’attribuiscono a chi credono si senta solo. Ma non è affatto così. È vero che l’ uomo è un animale sociale, ma non è detto che abbiamo bisogno sempre della socialità per essere noi stessi. Spesso è il contrario, ma non lo vogliamo vedere per convenzione. Questo ci dice Maria. Sei solo solo se gli altri vogliono che tu ti senta così.